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Cibo...ma quanto ne viene cestinato?


Cibo e spreco...un binomio che fa paura

07-01-2016
La metà del cibo che viene prodotto nel mondo, circa due miliardi di tonnellate, finisce nella spazzatura, benché sia in gran parte commestibile. Fra le cause di questo spreco di massa ci sono le cattive abitudini di milioni di persone, che non conservano i prodotti in modo adeguato. Ma anche le date di scadenza troppo rigide apposte sugli alimenti, le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario, i numerosi passaggi dal produttore al consumatore nelle catene di montaggio dei cibi industriali.

La stima dell’Ime è lievemente superiore – ma nello stesso ordine di grandezza– di quella della Fao secondo cui oltre un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, cioè circa 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato, contenuta nello studio intitolato Global Food Losses and Food Waste (Perdite e spreco alimentare a livello mondiale). Lì si dice che i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo sperperano, rispettivamente, 670 e 630 milioni di tonnellate di cibo ogni anno.
 
Solo nei Paesi industrializzati vengono buttate 222 milioni di tonnellate di cibo ogni anno: una quantità che sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Sub Sahariana. La Fao ha anche promosso un altro studio, intitolato "Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources" (L'impronta ecologica degli sprechi alimentari: l'impatto sulle risorse naturali), la prima sistematica indagine scientifica ad aver analizzato l'impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le conseguenze che esse hanno per il clima, per le risorse idriche, per l'utilizzo del territorio e per la biodiversità.
 
Ogni anno, il cibo che viene prodotto e non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno - quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale - ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Nel mondo industrializzato, la maggior parte del cibo sprecato viene dai consumatori che ne comprano troppo e poi lo buttano. Nei paesi in via di sviluppo si tratta invece di sprechi dovuti a un'agricoltura stentata o alla mancanza di modalità di conservazione.
 
Se lo spreco di cibo - dal residuo in campo alla produzione e distribuzione allo spreco domestico - vale nel mondo circa 2.060 miliardi di euro, in Italia ci costa lo 0,5% del nostro Pil, oltre 8 miliardi di euro. È quanto emerge in 'Primo non sprecare', nel Parco Biodiversità di Expo, tappa della campagna 'Un anno contro lo spreco 2015' di Last Minute Market. In Italia ogni anno finiscono tra i rifiuti dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, per un valore di circa 37 miliardi di euro. Un costo di 450 euro all’anno per famiglia. Cibo che basterebbe a sfamare, secondo la Coldiretti, circa 44 milioni di persone. Secondo l’Osservatorio sugli sprechi, a livello domestico in Italia si sprecano mediamente il 17% dei prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15% di pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. Per una famiglia italiana questo significa una perdita di 1.693 euro l’anno.
 
Secondo il rapporto del Politecnico di Milano ‘Surplus food management’ vi sono 5,6 milioni di tonnellate di cibo generate in eccesso (16% dei consumi annui). All’interno della filiera, il 2,8% si perde nella fase di produzione, 0,4% nella trasformazione. Il 43% dello spreco avviene in ambito domestico, cioè in famiglia (dunque con basso grado di recuperabilità) ma un buon 57% è dovuto agli attori della filiera, e qui ci si può impegnare molto  di più. Oggi, solo il 9% è recuperato, ma è interessante notare che è il 10% in più di quanto riscontrato nello stesso studio svolto 4 anni prima. L’obiettivo da porsi è riuscire ad arrivare a 1 milione di tonnellate recuperate all’anno.
 
Il quadro normativo italiano è buono, rispetto agli altri Paesi europei, grazie alla “legge del buon samaritano” e a una serie di incentivi fiscali già in atto.  Ma soprattutto l’impianto è volto a incentivare il recupero, invece che a sanzionare lo spreco.

Giulia Leo

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